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Giuseppe Novella,Joseph Freiherr von Eichendorff

La vita di un perdigiorno

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Joseph Freiherr von Eichendorff (1788 –1857) ci presenta in quest’opera un aspetto pieno di fascino del romanticismo, considerato come evasione dalla realtà, desiderio dell’ignoto e abbandono alle mille voci della natura, godute con ingenuità artistica e candore spirituale. Il viandante di cui ci racconta la storia è il figlio di un mugnaio che, stanco di una vita monotona, parte senza meta per le vie del mondo, con il suo violino come unica ricchezza. Nel cammino lo aspettano mille avventure, incontrerà dame, dormirà nei castelli, si avventurerà per boschi e villaggi; fino ad arrivare in Italia e a Roma, dove si perde nel fascino della città oggetto di tanti suoi sogni. Ma anche lì tante cose lo turbano, soprattutto gli uomini che incontra e la loro malvagità, così il nostro protagonista riprenderà la via del nord, trovando al ritorno amore e felicità in una inaspettata vita ricca di semplicità.
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Alıntılar

  • Giuseppe Buteraalıntı yaptı7 yıl önce
    CAPITOLO PRIMO

    Al mulino di mio padre, dove vivevo anch’io, tutto stava tornando alla normalità: la grande ruota aveva ripreso a girare, producendo il consueto rumore che riempiva l’aria di allegria, la neve si scioglieva gocciolando dal tetto e i passeri cinguettavano. Io me ne stavo seduto sulla soglia e mi stropicciavo gli occhi ancora assonnati: come stavo bene sotto la tiepida luce del sole! Ad un tratto, mio padre, che già dall'alba lavorava al mulino, uscì di casa, col cappello da notte posato di sbieco sul capo, e mi disse : « Eccoti qui ancora, perdigiorno, a scaldarti al sole come una lucertola, a stiracchiarti, già stanco, lasciando a me tutto quel che c'è da fare. Io non posso mica sfamarti mentre tu rimani in panciolle a non far niente ! La primavera è quasi arrivata, parti per il mondo una buona volta, e guadagnati anche tu da vivere con i tuoi sforzi! ». « Ah sì? — gli risposi — sono un buono a nulla? E allora voglio andarmene e farmi da me la mia fortuna». E in realtà, quest’idea mi piaceva proprio, giacché da tempo avevo pensato di andare per il mondo a cercare fortuna: da quando avevo ricominciato a udire lo zigolo ripetere a squarciagola dall'albero (aveva supplicato tutto l'autunno e tutto l'inverno, presso la nostra finestra, con un canto sconsolato : « Contadino, prendimi al tuo servizio! Prendimi, contadino!»), orgoglioso e allegrissimo: « Tienitelo il tuo servizio ».

    Entrai in casa, presi il violino, che sapevo suonare bene, dalla parete alla quale era appeso, presi i soldi che mio padre mi diede per il viaggio, e prima di uscire dal paese gironzolai un po’ per le strade. Una grande gioia segreta mi colse nel vedere, a destra a sinistra, tutti i vecchi amici e conoscenti lavorare come somari, a scavare fossi e ad arare, come ogni altro giorno della loro vita, mentre io me ne andavo in giro per il mondo. Orgoglioso e compiaciuto, dispensavo saluti di congedo a quei poveracci che continuavano a sgobbare, ma in realtà nessuno di loro era particolarmente dispiaciuto che io me ne andassi.

    Mi sentivo come ad una festa che non finiva mai, e una volta uscito dal paese presi l’amato violino, e cominciai a suonare e a cantare:

    Se Dio vuol con sua grazia rivelarsi a qualcuno, pel mondo a errar lo invia: gli mostra i suoi miracoli, che ha sparsi per monti e selve, all'acque e in prateria.

    L'aurora non conforta il buono a nulla che non si muove, e in casa sua rimane: non saprà che di bimbi nella culla, di angustie e noie, e d'ansia per il pane.

    Sprizzano giù dai monti i ruscelletti, vibrano in ciel le allodole canore: perché non levo anch'io i miei canti schietti, a gola piena e con freschezza in cuore?

    Il buon Dio, solo lui, lascio regnare: rivi, allodole, boschi, campi e prati, la terra e il cielo è in suo voler serbare, e i casi miei, che al meglio ha regolati.
  • Riccardo Lussanaalıntı yaptı7 yıl önce
    CAPITOLO PRIMO

    Al mulino di mio padre, dove vivevo anch’io, tutto stava tornando alla normalità: la grande ruota aveva ripreso a girare, producendo il consueto rumore che riempiva l’aria di allegria, la neve si scioglieva gocciolando dal tetto e i passeri cinguettavano. Io me ne stavo seduto sulla soglia e mi stropicciavo gli occhi ancora assonnati: come stavo bene sotto la tiepida luce del sole! Ad un tratto, mio padre, che già dall'alba lavorava al mulino, uscì di casa, col cappello da notte posato di sbieco sul capo, e mi disse : « Eccoti qui ancora, perdigiorno, a scaldarti al sole come una lucertola, a stiracchiarti, già stanco, lasciando a me tutto quel che c'è da fare. Io non posso mica sfamarti mentre tu rimani in panciolle a non far niente ! La primavera è quasi arrivata, parti per il mondo una buona volta, e guadagnati anche tu da vivere con i tuoi sforzi! ». « Ah sì? — gli risposi — sono un buono a nulla? E allora voglio andarmene e farmi da me la mia fortuna». E in realtà, quest’idea mi piaceva proprio, giacché da tempo avevo pensato di andare per il mondo a cercare fortuna: da quando avevo ricominciato a udire lo zigolo ripetere a squarciagola dall'albero (aveva supplicato tutto l'autunno e tutto l'inverno, presso la nostra finestra, con un canto sconsolato : « Contadino, prendimi al tuo servizio! Prendimi, contadino!»), orgoglioso e allegrissimo: « Tienitelo il tuo servizio ».
    Entrai in casa, presi il violino, che sapevo suonare bene, dalla parete alla quale era appeso, presi i soldi che mio padre mi diede per il viaggio, e prima di uscire dal paese gironzolai un po’ per le strade. Una grande gioia segreta mi colse nel vedere, a destra a sinistra, tutti i vecchi amici e conoscenti lavorare come somari, a scavare fossi e ad arare, come ogni altro giorno della loro vita, mentre io me ne andavo in giro per il mondo. Orgoglioso e compiaciuto, dispensavo saluti di congedo a quei poveracci che continuavano a sgobbare, ma in realtà nessuno di loro era particolarmente dispiaciuto che io me ne andassi.
    Mi sentivo come ad una festa che non finiva mai, e una volta uscito dal paese presi l’amato violino, e cominciai a suonare e a cantare:
    Se Dio vuol con sua grazia rivelarsi a qualcuno, pel mondo a errar lo invia: gli mostra i suoi miracoli, che ha sparsi per monti e selve, all'acque e in prateria.
    L'aurora non conforta il buono a nulla che non si muove, e in casa sua rimane: non saprà che di bimbi nella culla, di angustie e noie, e d'ansia per il pane.
    Sprizzano giù dai monti i ruscelletti, vibrano in ciel le allodole canore: perché non levo anch'io i miei canti schietti, a gola piena e con freschezza in cuore?

    Il buon Dio, solo lui, lascio regnare: rivi, allodole, boschi, campi e prati, la terra e il cielo è in suo voler serbare, e i casi miei, che al meglio ha regolati.
    Guardandomi attorno, scorsi di lato, vicinissima, una bellissima carrozza che certamente procedeva dietro di me già da un po’, senza che me ne accorgessi, pieno com’era il mio cuore di musica e di gioia! La carrozza procedeva lentissima: all’interno, vi erano due distinte signore, che sporsero il capo fuori dalla vettura, per ascoltare meglio. Una di loro era di singolare bellezza, e più giovane dell'altra; ma in realtà mi piacquero entrambe. Non appena ebbi finito di cantare, la più anziana fece fermare la carrozza e mi disse con benevolenza : « Come siete allegro, giovanotto! E che belle canzoni sapete cantare! ». Io risposi senza indugio : « Per poter presentare i miei servizi a Vostra Grazia, ne saprei cantare altre ancora più belle ! ». E la signora continuò : « Dove siete diretto così di buon mattino? » Mi vergognai un po’, perché in effetti non lo sapevo nemmeno io, e risposi con faccia tosta : « A Vienna. »
    Si misero a parlare tra loro in una lingua straniera che non capivo, e infine la più giovane scosse il capo più volte, mentre l'altra non cessava di ridere. Ad un tratto mi gridò : « Allora venite dietro di noi, siamo diretti anche noi a Vienna. »
    Chi poteva essere più felice di me? Feci una riverenza, dopodiché con un balzo saltai sul predellino posteriore della vettura, il cocchiere fece schioccare la frusta, e subito proseguimmo per la strada così piena della splendente luce del sole, così velocemente il vento mi fischiava nel cappello.
    Dietro di me sparivano dietro l’orizzonte giardini e campanili, mentre davanti spuntavano nuovi villaggi, castelli e monti; e mentre sotto la carrozza scomparivano rapidamente messi, cespugli, prati variopinti, sopra si potevano ammirare stormi di innumerevoli allodole, che volavano nella chiara luce azzurra. La vergogna mi impediva di gridare, ciò nonostante dentro di me sentivo una grande felicità, così grande che sgambettavo e danzavo sul predellino della vettura, tanto che fui più volte sul punto di perdere il violino che tenevo sotto al braccio. Man mano che il sole si faceva sempre più alto nel cielo, salivano ad oriente le nubi bianche e pesanti di mezzogiorno.
    Un gran vuoto avvolgeva l'aria, e la sconfinata pianura che si stendeva al di là dei campi di grano, lievemente ondeggianti. C'era afa, silenzio, e per la prima volta mi assalì il ricordo del mio villaggio, di mio padre, del nostro mulino... affiorò il ricordo dell’intimità di quei luoghi, del fresco presso la peschiera ombrosa…era tutto lontano ora, tanto lontano, dietro di me. Mi sentivo preso da una a sensazione, come un impulso che mi spingeva a tornare indietro : riposi il violino tra il soprabito e il panciotto, mi sedetti pensieroso sul predellino e mi addormentai.
  • Riccardo Lussanaalıntı yaptı7 yıl önce
    lontano ora, tanto lontano, dietro di me. Mi sentivo preso da una
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